LUNGO GLI ITINERARI DI FEDE PASSA LA RINASCITA DELL'EUROPA

Alla morte di Carlo Magno seguì una confusione politica che di sicuro non favorì il miglioramento della situazione; anzi, al contrario, essa si aggravò ulteriormente a causa della devastante invasione degli Ungheri nel 900.

Il potere dei castelli e delle abbazie si accentuò ulteriormente e ormai l'Italia feudale era un fatto compiuto.

Le sedi vescovili, già in epoca carolingia, avevano cominciato ad ottenere privilegi dai potenti imperatori che sentivano meglio tutelati i loro interessi a donare dei territori a dei vescovi, che, con l'obbligo del celibato, non potevano avere figli legittimi, e quindi discendenti ai quali affidare i feudi donatigli; commissionando invece, i territori a un potente feudatario laico era sicuro che egli tentava di ottenere l'eredità del feudo.

Anche l'abbazia di Berceto con i terreni ad essa legati e, di conseguenza, gran parte della zona montana della strada di Monte Bardone, fu donata dall'Impero al vescovo.

Mentre il potere vescovile si era fortemente rafforzato, quello delle abbazie andò pian piano diminuendo, fino a perdere l'indipendenza e l'autonomia.

Di questo periodo di "povertà" può darsi che ne abbia risentito anche la strada di Monte Bardone, i cui pedaggi in parte andavano al Vescovo di Parma.

Il diario di viaggio di Sigerico, nominato nel 991 arcivescovo di Canterbury, raccoglie le tappe dove egli si fermò lungo il tragitto di ritorno da Roma, iniziato nello stesso anno della sua nomina di arcivescovo, fino a Canterbury, località posta oltre il Canale della Manica, in Gran Bretagna. Sigerico andò a Roma per ricevere dal Papa il pallio, che era il simbolo ed il riconoscimento della fedeltà alla Cattedra di Pietro. L'arcivescovo col suo seguito, che pare essere stato numeroso, percorse la Manica tra Dover e Sombre e, attraverso l'Artois, la Picardie, e la Bourgogne, raggiunse il passo del gran San Bernardo, superato il quale, giunse in Italia. Molte sono le tappe importanti del percorso italiano, tra le quali ricordiamo: Ivrea, Vercelli, Pavia, Piacenza, Fidenza, Medesano, Fornovo, Berceto, Pontremoli, Luni, Lucca, San Geminiano (o Gimignano), Siena, Bolsena e Sutri. Arrivò a Roma in circa due mesi, ed avendo compiuto più o meno milleseicento Km, con una media di trenta Km giornalieri, cifra che appare molto credibile tenute presenti che si camminava a piedi, su un carro o a dorso di un mulo, in sentieri spesso appena visibili ed in una natura ostile che obbligava a frequenti soste.

L'asperità dei percorsi sul versante meridionale dell'Appennino in Alta Lunigiana

Verso la fine del primo millennio il potere centrale che era, formalmente, in mano a re ed imperatori tedeschi, in Italia era praticamente attuato dai vescovi, dai conti, dai marchesi, dai vescovi-conti o dagli abati, la maggior parte dei quali aveva già raggiunto l'indipendenza. Essi erano anche spesso in lotta tra di loro.

Era, in pratica, la conclusione del processo di disfacimento dell'Impero Carolingio iniziato subito dopo la morte di Carlo Magno.

Era però anche l'inizio dello smembramento dell'impianto feudale dalla cui frammentazione sarebbe nata, soprattutto in Italia, una piccola nobiltà contadina, che, inurbandosi, avrebbe contribuito alla rinascita delle città.

La via di Monte Bardone era probabilmente affiancata da due vie di fondovalle parallele ed alternative: una percorreva la sponda destra del Taro da Fornovo fino alla confluenza con la Manubiola e saliva, in margine ad essa, attraverso Bergotto e Corchia, fino ad arrivare alla Cisa. L'altra, invece, si snodava lungo il Baganza fino a giungere al Passo del Cirone. A Tabertasco, località situata nella parte più alta di quest'ultimo percorso, si trova un monastero il quale fu oggetto della donazione di Liutprando a San Moderano.

Si può forse affermare che alla fine del decimo secolo la via di Monte Bardone fosse la più breve e la più agevole, e anche la più frequentata strada per il centro d'Italia; ciò però non significa che era piena di insidie e che percorrerla fosse impresa facile e tranquilla.

Il fondo stradale era per lo più dissestato, molti alberi, colpiti da fulmini, erano schiantati a terra, i cinghiali, i lupi e gli orsi potevano azzannare da un momento all'altro e i predoni, che, per sopravvivere, derubavano i viandanti, erano un'assidua minaccia.

La fine del primo millennio vide sicuramente la strada di Monte Bardone disastrata ed irta di difficoltà, anche se essa costituiva comunque quanto di meglio che quei difficili tempi potevano offrire.

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