Intanto
erano passati un po’ di giorni e Stellino accompagnava come al solito Pasquale
al ricovero e appena si separavano Stellino cercava il più svelto possibile di tornare da Ruggero,
ma quel giorno, mentre come sempre cercava di avviarsi verso casa, sentì
qualche cosa stringergli al collo fortissimo. Si guardò in torno e vide un uomo
con la divisa simile a quella di Ruggero: era l’accalappiacani Quando lo capì,
Stellino cercò di liberarsi ma il laccio che aveva in torno al collo non glielo
permetteva. Ad un certo punto vide che l’uomo lo strattonava, per mezzo di un
bastone attaccato al laccio che aveva intorno alla gola, cercando di condurlo
verso un furgoncino. Cercò di liberarsi con tutte le sue forze, ma non ce la
faceva. Così l’accalappiacani lo mise dentro una gabbia di ferro, salì sul
furgone e partì. Il furgoncino uscì
dalla città e inizio a percorrere una strada di campagna. Intanto sentì il
conducente e quello che l’aveva catturato, che discutevano su di lui. Il cane
era preoccupato e pensava alla sua famiglia che non vedendolo arrivare si sarebbe preoccupata molto. Ad un
certo punto Stellino sentì un uggiolio e facendo due passi indietro si accorse
di non essere solo, insieme a lui c’era un cucciolo di pelo nero. Stellino
provò a fare amicizia ma in quel momento il motore del furgoncino si spense, si
sentirono delle voci di qualche uomo e dopo la grata che li teneva prigionieri
si apri e li fecero scendere. Un uomo mentre erano lì disse ad un altro più
grasso di tenerli lì per quattro giorni, se per caso li venissero a riprendere
i familiari, in caso contrario il quarto
giorno li poteva uccidere. Dopo di che l’accalappiacani e il conducente del
furgoncino se ne andarono con esso. Quei due cani erano capitati nella gabbia
della morte la chiamavano così perché qualunque cane che ci è andato non ha
fatto mai ritorno. Entrarono e cercarono una qualsiasi uscita per recuperare la
libertà. Ma capirono che era impossibile uscire di là. La loro prigione era un
vecchio castello medioevale situato su una collina a poca distanza dalle ultime
case della città. Lì ci abitavano un omino grasso, a cui avevano consegnato i
due cani, con la sua famiglia: la moglie e un figlio di 12 anni. Quella sera il
figlio che si chiamava Luigi, si recò a al cancello dello sgabuzzino dove erano rinchiusi i cani. Riconobbe
Stellino così cercò di farsi venire in mente come farlo evadere. Se lo
ricordava perché ci aveva giocato a pallone qualche tempo fa. In quel momento
lo chiamò il padre dicendogli di entrare. Lui rispose che arrivava così si
avvicinò al cancello lo chiamò dicendogli che domani mattina lo avrebbe
liberato. Quella mattina i cani erano tutti agitati quando arrivò il custode e
gli butto le polpette di stricnina tutti i cani morirono in un paio di minuti
meno il cane marrone che ci mise di più. Stellino abbaiò e il custode gli disse
che il giorno dopo l’avrebbe ucciso tanto nessuno l’avrebbe reclamato. Fece
portare via i cani morti al figlio dicendogli di studiare e di non fare la
vitaccia che faceva lui. Dopo aver fatto quello che il padre gli aveva detto
chiamò Stellino e lo fece scappare insieme al cuccioletto, prima che il padre
se ne accorse. Stellino si dileguò nella campagna scappando via di corsa e si
accorse che il suo amico era rimasto in dietro così lo aspettò.
Lorenzo
Borrelli